La vecchina del presepio di Gianni Rodari: seconda parte

Vi è piaciuta la prima parte de La vecchina del presepe di Gianni Rodari? Scopriamo insieme come va a finire questa bella storia di Natale scritta con tanto amore e tutt’oggi molto famosa:

…Entrò in casa, diede un’occhiata al malato e gli cambiò l’acqua nella caraffa, poi vestì i bambini, con gesti ruvidi e precisi, senza cessare di rimproverarli meccanicamente. Quelli non badavano ai rimproveri: sentivano le sue mani buone e svelte, si lasciarono vestire in fretta, si lasciarono strofinare la faccia con un asciugamano bagnato, ma quando furono pronti schizzarono via con uno strido acuto, come rondini.

-Ti fanno perdere tempo, ma mica ti dicono grazie,- borbottò la vecchina riprendendo il cammino. Ora poi cominciava a sentire appetito. Avrebbe chiesto volentieri qualcosa alla pastora che filava, con un gatto in grembo; alle donne che recavano in equilibrio sul capo grandi ceste colme di verdura, di ciambelle fatte in casa, di frutti profumati. Ma era troppo orgogliosa per farlo. Per fortuna un contadino che zappava e la vide ansare, già un poco vacillante, spiccò un arancio da un ramo a glielo offrì.

-Bravo,- gli disse la vecchina, -pare che vi abbiano messo qui apposta per questo. Avevo giusto sete.-

Disse “sete”, non “fame”, perché non le piaceva far sapere agli altri le sue cose, e non voleva essere compatita.

-Ma vi pare la notte adatta per starvene a zappettare?- Domandò poi. –Voi che avete le gambe buone…-

.Avrò presto finito. Coglierò un cesto di arance e mi avvierò. Volete scommettere che vi raggiungo prima del paese?-

In paese la bottega del fornaio era aperta, la bocca del forno rossa di fuoco, e il pane fresco profumava la notte.

La vecchina guardò da un’altra parte.

Prigioniera del suo seggiolone, una pupetta grassa, rosea e lacrimosa strillava a più non posso, tuffando una mano rabbiosa nel piatto di spaghetti che le stava davanti.

-E tu che hai?- domandò la vecchina. –Non ti piace la pappa? Su, su, che è buona.-

Ma la bambina non si chetava, e non voleva mangiare. Finalmente la vecchina scoprì che le era caduta per terra una bambola di stracci: gliela raccolse e la bambina sorrise.

-Su,- disse la vecchina, arrotolando uno spaghetto intorno alla forchetta, -mangia. Ah, am. Quant’è buono… e la tua mamma? Le tue sorelle? Tutte a vedere il corteo dei Magi, scommetto. E te, ti lasciano qui sola come un’orfanella. Mangia con la nonnina, su. Ecco, brava, brava.-

La bambina, mangiando, farfugliava il suo linguaggio di sillabe sperdute, di mugolii ed esclamazioni senza significato: -Baaa… beee… gniooo… Uhhh!-

La vecchina cominciò anche a parlare a quel modo, e intanto i minuti passavano, e passava la gente, sorridendo. Passò uno zampognaro, seguito da un codazzo di ragazzi. Passò quel contadino di prima, col suo cestello di arance. Solo quando il piatto fu vuoto la vecchina si riscosse, si guardò intorno, si rialzò.

-Piccerella mia, bisogna che me ne vada, altrimenti non arriverò in tempo. Vedi laggiù quel chiarore? E’ la cometa che sta per spuntare.-

-Biaooo… booo,- rispose la pupa.

_Stai buona, sì? Presto tornerà la tua mamma.-

Ora la folla era un fiume variopinto e chiassoso, risuonava di grida, di pifferi, di nacchere, e la vecchina era quasi al centro del presepio, e la luce della stella saliva in cielo come un incendio di buon augurio, e per un po’ la vecchina fu presa a braccetto da un gruppo di ragazze che cantavano e camminavano a passo di danza, e questo le fece mancare il respiro. Dovette proprio sedersi un momento a riposare, sulla panca di un’osteria campestre, ma non accettò il bicchier di vino che l’oste le offriva, per paura che le mettesse il capogiro, bevve solo un po’ d’acqua.

La gente passava. Era passata. Appena qualche ritardatario allungava il passo. Ecco, più nessuno.

-Arriverò ultima anche quest’anno,- sospirò la vecchina, -e di lontano vedrò ben poco, si sa. Le mie povere gambe mi fanno male come se me le avessero battute.-

Si fece coraggio, a passi sempre più brevi e incerti, e ogni tre passi doveva fermarsi un attimo perché il cuore si calmasse. I rumori e le luci della gran festa erano come una nuvola che si allontana. Le pause di silenzio erano sempre più lunghe e distese. In uno di quei silenzi udì (di nuovo, ancora!) il pianto di un bambino.

-Povero piccolo,- mormorò la vecchina, -in una notte come questa, davvero non ci dovrebbe essere al mondo un solo bambino che piange. No, no: in tutto il mondo non dovrebbe piangere nessuno. Ma tu dove sei, piccolo povero fantolino? Dove sei, bello di mamma tua?-

Il pianto veniva da una capanna posta a pochi metri dalla strada. C’era una siepe, intorno, ma così cadente che la vecchina non abbe difficoltà ad attraversarla.

La capanna era tutta buia, il pianto veniva di là.

-Eccomi, eccomi,- sussurrava la vecchina -eccomi, sono qui.-

Entrò nella capanna e proprio in quel momento, per fortuna, la cometa superò l’ultima montagna e illuminò tutto il cielo e, al chiarore che penetrava dalla porta, la vecchina vide il pagliericcio, la giovane donna che vi stava stesa con gli occhi chiusi, come svenuta, e il piccolo tutto nudo che le giaceva accanto e piangeva.

-Ma tu hai freddo, ecco che cos’hai,- esclamò la vecchina con la sua voce più dolce.

E sempre parlando tra sé la vecchina si muoveva per la capanna, trovava le povere fasce preparate per il neonato e lo avvolgeva.

A un tratto “grazie” sentì dire con un filo di respiro. Si voltò e vide che la giovane madre era tornata in sé. Era troppo debole per muoversi e per parlare, me i suoi occhi riconoscenti dicevano tante cose.

-Brava, brava,- disse la vecchina. E intanto accendeva il fuoco, metteva un po’ di acqua a bollire, e il fuoco rischiarava la capanna come una piccola, capricciosa cometa che giocava con le ombre.

E poi venne l’alba, piano piano, prima grigia, poi bianca e dorata. La madre e il bambino dormivano. La vecchina dormiva su una sedia, col mento sulla mano. E quando si svegliò era tornato il padre, e la notte di Natale era passata, e la vecchina non era arrivata fino alla grotta, perché tutti quei bambini le avevano fatto perdere tempo, ma era contenta e serena, anche se non aveva visto i Re Magi, gli angeli e lontano lontano, sopra un mare di teste, la grotta.

Così lasciò quei pomodori seccati sul tavolo e si mise sulla via del ritorno, passo dopo l’altro, nel silenzio del grande presepio addormentato, su su, in cima ai sentieri, ai tetti, alle scale, alle scalinatelle, fino a casa sua, che era la più vicina alle stelle.

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