La strada giusta, il racconto di Natale di Dino Ticli: terza parte

 

Questa è l’ultima parte del racconto di Natale di Dino Ticli. Vi riportiamo per comodità la prima e la seconda, per meglio entrare nello spirito di festa della storia per bambini.

Lo avevano montato da pochi giorni, lui e il suo papà. Sullo sfondo vi erano una serie di colline basse che nascondevano l’orizzonte. Qualche albero qua e là nella pianura rendeva il deserto meno arido. A sinistra sorgeva un villaggio di povere case bianche e alcuni recinti trattenevano greggi di pecore impazienti di uscire. Poche statuine si dirigevano verso una capanna circondata da una recinzione dove un fuoco illuminava un uomo e una donna indaffarati. Un asino e un bue riposavano nella paglia. Alcuni altri personaggi si muovevano invece verso il villaggio.
– Ci vorrebbero altre statuine. Non è giusto che ogni anno Gesù riceva così poche visite: penserà che in questa casa ci siamo dimenticati di lui.
Poi ebbe un’idea. Corse in camera sua e aprì la cassa dei giochi e raccolse tutti i soldatini di plastica, qualche supereroe e alcuni mostri spaziali.
– Bene – esclamò soddisfatto. Sapeva che non gli avrebbero mai permesso di mettere quegli oggetti in mezzo al presepio e nemmeno a lui sarebbero piaciuti: con quelle facce avrebbero sicuramente spaventato Maria, Giuseppe e soprattutto il piccolo Gesù. Se riusciva, però, a nasconderli ben bene dietro a una collina…
– Ecco fatto! Nessuno li vedrà, ma almeno questo presepio sarà un po’ più vivace. Gesù non si spaventerà e non sarà così solo.
Pepe ritornò a tarda sera con la coda tra le gambe. Appena entrato in casa, si diresse verso il capofamiglia e si sdraiò sulla schiena in atto di resa. Potevano sgridarlo ancora?
– Te l’ho già detto: sei un cane traditore. Se qualcuno mi chiederà mai di intagliare la statuetta di Giuda Iscariota, mi ispirerò a te! – brontolò mentre il cagnolino lo guardava con occhi melanconici.
– Dai, vieni a mangiare – lo invitò infine dandogli una grattatina alla pancia. – Comunque, mi piacerebbe tanto sapere dove hai nascosto il mio uomo d’affari.
– Bau! – gli rispose il cane rimettendosi in piedi e correndo verso la ciotola piena di cibo.

Passarono molti giorni e giunse la vigilia di Natale. Il presepio moderno faceva bella mostra nell’atrio della banca e le statuine di un bambino e di un cagnolino accostate a un bell’albero comparvero tra quelle del presepio di Matteo.
– Due personaggi nuovi: magnifico! Allora posso togliere i miei pupazzetti dalla collina.
– Una banda di mostri in visita a Gesù? – commentò sorridendo il papà.
– Meglio questi che nessuno. Erano anni che Gesù bambino si stava annoiando… ma quelli, siamo io e Pepe, non è vero? – cambiò discorso felice.
– Può darsi… ma siamo sicuri che Gesù apprezzerà la presenza di un furfante a quattro zampe? Tu cosa ne dici, Pepe?
– Bau! – ribatté il cagnolino sentendosi chiamare.
– Adesso ti acchiappo e te le suono di santa ragione – gli disse il padrone in tono scherzoso.
Il cane però prese molto sul serio quelle parole e fuggì rapido.
– Papà, lo hai fatto scappare di nuovo!
– Ma stavo solo scherzando. Che razza di cane: adesso è diventato anche permaloso!
Pepe era tornato al suo nascondiglio nel piccolo bosco di fronte alla loro casa. Era una specie di cuccia naturale, scavata ai piedi di un grande albero. L’aveva riempita di un sacco di cianfrusaglie come pupazzetti di plastica, pezzi di stoffa, palline di ogni tipo, oggetti irriconoscibili e… un uomo d’affari intagliato nel legno. Gli era parso che potesse avere un buon sapore e gli aveva rosicchiato appena appena i piedi e le frange dei pantaloni che in verità sembravano una lunga gonna a pieghe, essendo stati appena abbozzati. Il gusto però si era dimostrato orrendo e lo aveva abbandonato.
Si rigirò tra le sue cose e si addormentò. Era ormai piuttosto tardi quando, movendosi, si sentì pungere in un fianco.
– Cai! – guaì balzando in piedi. Poi si voltò in cerca del colpevole. L’uomo d’affari lo guardò con aria indifferente, ma il suo ombrello appuntito lo tradì.
– Bau! Bau! Bau! – abbaiò con forza Pepe, ma l’uomo d’affari non fece nessun gesto di sottomissione; non era nel suo carattere, d’altra parte.
Pepe lo squadrò e poi decise: un oggetto così pericoloso e di cattivo gusto non poteva restare un minuto di più nel suo nascondiglio segreto. Lo afferrò tra i denti e ritornò nella casa dei suoi padroni.
Tutti erano andati a dormire e dentro era buio. Solo il presepio emetteva qualche luce che rischiarava la capanna e il villaggio. Si avviò allora in quella direzione e si arrampicò sulla poltrona che confinava col presepio; appoggiò la testa al bracciolo e si fermò pensieroso.
– Lasciami! Lasciami! – sembrava dicesse l’uomo d’affari con l’ombrello in una mano e la borsa nell’altra. – Devo andare, adesso: mi hai già fatto perdere un sacco di tempo.
Un pensiero improvviso passò nella mente di Pepe: – Sete!
Aprì la bocca e lasciò cadere la statuina, poi corse verso la sua ciotola dove bevve avidamente; infine si sdraiò sul tappeto e si addormentò.

– Lo sapevo: è tardissimo – brontolò dopo aver dato un’occhiata all’orologio. Quindi si diede un’aggiustatina alla cravatta e fece per avviarsi, ma si arrestò immediatamente. – Dove sono? – si chiese preoccupato, notando il terreno arido e sabbioso tutt’intorno a lui.
Pensò a lungo per trovare una spiegazione logica a quel problema, com’era abituato a fare da sempre. Scartò tutte le soluzioni finché non gliene rimase una sola: – Devo essere rimbambito! Non può essere diversamente, altrimenti perché alla fine di dicembre mi trovo da solo su questa spiaggia?
Alcune palme e qualche albero sconosciuto contribuirono ad aumentare la sua confusione.
Ma non si perse d’animo. – Troverò qualcuno che mi indicherà la strada giusta! Andrò in quella direzione – disse risoluto indicando a se stesso una zona dove gli alberi sembravano farsi più fitti.
– Ehilà, signore! Sì, dico a lei.
Un giovane che guidava con un bastone un piccolo gregge di capre, si fermò al richiamo.
– Senta, credo di essermi perso.
Il pastore lo guardò attentamente e un sorriso trattenuto a stento gli si disegnò sul volto.
– In pratica non so nemmeno come sono capitato qui… ehi! Ma che razza di vestiti indossa? – sbottò osservandolo meglio. – Non è mica carnevale…
Quindi assunse un’espressione perplessa, e infine commentò ad alta voce: – Mi sa che sono finito in Arabia…
Ma l’uomo, che era riuscito a resistere fino a quel momento, come tutta risposta scoppiò in una sonora risata, incontrollabile e sgarbata.
– Non ho detto nulla di spiritoso! Stavo solo cercando di capire… Insomma! La smetta di ridere: non ho tempo da perdere e sono già in ritardo.
Il giovane non gli diede retta e, senza nemmeno rispondergli, spinse le sue capre in direzione delle colline scosso da risa continue.
– Il mondo è pieno di gente poco seria! – fu il suo unico commento, quindi si riavviò.
Era stanco, sudato, demoralizzato e la sete lo stava torturando già da tempo, quando intravide un pozzo in mezzo a un piccolo gruppo di palme.
Una donna aveva già riempito una giara e si accingeva a fare lo stesso con la seconda.
– La prego, le chiedo solo due cose: un’informazione e soprattutto un po’ d’acqua.
La donna si coprì immediatamente il volto.
“Sì, devo essere proprio in Arabia” pensò notando quel gesto.
In realtà la donna non voleva mostrarsi sgarbata e aveva così coperto il sorriso che le era comparso sul volto.
– Beva pure – lo invitò porgendogli la brocca.
L’uomo bevve avidamente e non si preoccupò dell’acqua che scendendogli sul volto gli stava bagnando giacca e camicia.
– Cosa voleva sapere da me?
– Credo di essermi perso.
– Da dove viene?
– Io vengo da…
Buio completo: non sapeva cosa risponderle! Un vero dramma per uno come lui che aveva una risposta a ogni domanda. Perché non gli aveva chiesto come investire al meglio i propri denari?
– Non si sente bene?
– Sì, ma… sto cercando la mia banca!
Ecco, quella era la risposta giusta. Non c’erano più dubbi: doveva recarsi presso la sua banca dove tutto sarebbe tornato normale.
– Cos’è una… banca?
Caspita! Possibile che in Arabia non sappiano ancora cos’è una banca? E adesso come faccio a spiegarglielo?
– Un edifico dove tanta gente lavora ai computer, dove circola molto denaro, dove si fanno investimenti e… oh insomma! È possibile che lei sia così ignorante? – sbottò alla fine osservando il volto perplesso della donna.
– Io sarò ignorante, ma non sono maleducata! – ribatté offesa. – Avrei avuto molte ragioni per ridere di lei, ma non l’ho fatto.
– Ridere di me? Nessuno si è mai permesso.
“A parte quel villanzone di un pastore” pensò.
– Stento a crederle vedendo com’è conciato. Perché non mi spiega che cosa sono quelle cose che indossa?
– Una giacca di sartoria, una camicia di cotone, una cravatta di seta, un paio di…
Un paio di niente! Ecco perché ridevano di lui: al posto dei pantaloni aveva una strana gonna a pieghe! Le scarpe poi… erano tutte sbrindellate! Forse colpa della sabbia e dei sassi del deserto.
– Ha ragione, ma non posso mica togliermela – disse indicando la gonna: – rimarrei in mutande.
– Mutande? Che cosa sono le mutande?
– Senta, prima che diventi matto, sia così cortese da indicarmi la strada per la mia banca – la invitò secco.
Ma la donna raccolse in fretta le sue cose e si allontanò di corsa senza rispondergli.
– Il mondo è pieno di ignoranti! – fu il suo unico commento.
Camminò ancora a lungo, riparandosi col suo ombrello dai cocenti raggi del sole.
– Mi avevano assicurato che queste scarpe sarebbero state comodissime e indistruttibili – brontolò guardando come si erano ormai ridotte. – Forse però non pensavano a una lunga marcia in questa pianura desolata.
Una carovana di cammelli e molti uomini lo distrasse da quei pensieri.
– Signori, vi prego di non ridete di me. Vengo da molto lontano e sono vestito come si usa dalle mie parti – li anticipò appena li ebbe raggiunti.
– Anche noi siamo stranieri e, come vede, i nostri vesti lo rivelano – gli rispose bonariamente un vecchio uomo dal volto solenne.
Poi ordinò a uno dei suoi uomini a disporre un tappeto in terra.
– Si sieda con me a bere e mangiare qualcosa.
L’uomo d’affari accettò l’invito ben volentieri.
– Vede, sto cercando la mia banca – disse alla fine del pasto.
– Siamo tutti in cerca di qualcosa.
– Anche lei ha perso la sua banca?
– No, e non so nemmeno che cosa sia una banca; io sto cercando una stella che cambierà la mia vita.
– Una stella del cinema, immagino – sorrise ironico l’uomo d’affari.
– Lei parla davvero in modo strano. Da dove viene?
Ecco, ancora quella domanda! Comunque, non volendo mostrarsi sgarbato, rispose a caso: – Vengo da nord.
– Da nord – ripeté pensieroso il suo ospite. – Non è mai venuto nulla di buono da nord.
“Lo sapevo: ho sbagliato risposta” pensò deluso l’uomo d’affari.
– Non si offenda: mi sto riferendo ai presagi. Vede, io sono astrologo, negromante e indovino e le stelle mi hanno sempre mandato brutti segni da nord.
– Io credo solo ai numeri e alle statistiche, non certo a queste baggianate… – ribatté prima di mettersi una mano sulla bocca per non fare uscire altre parole sgarbate.
“Tutta colpa del sole che mi ha cotto il cervello.” – considerò subito dopo.
Se avesse potuto, si sarebbe preso a sberle: adesso il mago non lo avrebbe più aiutato di certo.
– Cosa vuol dire “baggianate”? – gli chiese invece quello senza nemmeno scomporsi.
– No, vede, io sono abituato a trattare affari e ho difficoltà a credere alle profezie delle stelle.
– Ah, è un mercante… e allora dovrebbe sapere che le stelle e le arti magiche potrebbero aiutarla a migliorare i suoi affari.
Batté le mani e uno dei suoi servi gli portò un piatto di metallo e alcune piccole bottiglie di vetro colorato.
– Versi un po’ di questo liquido nel piatto – lo invitò.
– Io veramente non ho molto tempo… sto cercando la mia banca.
– Me l’ha già detto, ma adesso obbedisca.
La voce non ammetteva repliche e allora versò. Bastarono poche gocce per far balzare in piedi il vecchio mago.
– Lei… lei… viene da nord…
– Bella scoperta, glielo detto io un attimo fa – mormorò sottovoce l’uomo d’affari.
– Ma il suo passato… non esiste! Lei è un uomo senza passato!
Lanciò quindi alcune grida rauche e pochi istanti dopo la carovana fu pronta a partire.
– Lei sta cercando la cosa sbagliata – gli rivelò infine e riprese il suo cammino lasciandolo solo nel deserto con un otre d’acqua.
– Il mondo è pieno di matti! – esclamò l’uomo d’affari quando se ne furono andati. Poi si scrollò la sabbia di dosso, raccolse l’otre e riprese a camminare, ma il suo umore era pessimo.
– Non so più cosa fare: perderò il mio lavoro se non ritrovo presto la mia banca!
Camminò ancora a lungo, finché alcuni rumori, quasi grida d’aiuto, gli comunicarono segni di vita subito al di là della collina più vicina.
– Cosa le è successo? – chiese a un uomo disteso per terra, e per farlo riprendere più in fretta gli fece bere un po’ d’acqua dell’otre.
– Sono stato aggredito dai briganti. Stavo portando dei regali a mio cugino al villaggio qui vicino.
– Non si affatichi troppo.
L’uomo bevve ancora e riprese a parlare. – Mi hanno rubato tutto, anche l’asino e i vestiti.
Si sollevò seduto e si appoggiò a una pietra.
– Ma lei, con quegli abiti, da dove viene?
L’uomo d’affari sbuffò; avrebbe voluto rispondergli che erano fatti suoi e che era stufo di tutte quelle domande: aveva bisogno di risposte, non di domande!
– Non si offenda, ma temo che stia rischiando anche lei: quei vestiti bizzarri attireranno sicuramente i briganti e la ridurranno come me.
– Il mondo è pieno di ladri! – commentò l’uomo d’affari a voce alta.
– Come è vero… però ci sono anche tante brave persone come lei.
– Tenga la mia giacca: forse non le piacerà ma la riparerà dal sole cocente.
Poi gli bendò la ferita alla fronte con la cravatta.
– Vede, sto cercando la mia banca… lei può aiutarmi?
Forse per non offenderlo o per cercare di ricambiarlo in qualche modo, l’uomo gli rispose di sì.
– Non segua la strada delle colline, ma quella bassa. In paese troverà tutto quello che cerca. Anch’io verrò in paese, prima però devo recarmi da mio cugino.
– Grazie, e tenga pure l’otre: ne ha più bisogno di me.
L’uomo si alzò, osservò per un attimo la giacca ricevuta in dono e quindi la rivoltò. – Adesso è più bella! – concluse soddisfatto.
– Il mondo è pieno di zotici! – commentò fra sé l’uomo d’affari osservando la sua giacca firmata ridotta a uno straccio.

Alcune case bianche e piuttosto misere gli segnalarono l’entrata del paese. Divennero via via più numerose, e anche la gente aumentava.
Nessuno faceva molto caso al suo abbigliamento. Da una parte la camicia e il gonnellone da soli non erano così appariscenti, dall’altra il villaggio sembrava popolato da gente proveniente da ogni parte del mondo che sfoggiava vestiti strani e di svariati colori.
D’improvviso gli comparve d’innanzi un uomo con una folta barba nera e due sopracciglia cespugliose.
– Sei un Romano? – gli chiese sottovoce, come se avesse voluto confidargli un segreto.
Beh, non era proprio di Roma, ma forse era più romano lui di tutti gli abitanti di quel paese.
– Sì, quasi – rispose allora.
– Ho visto che ti guardavi attorno: hai perso qualcosa?
– Sì, la strada per la mia banca…
– Banca…
“Un altro ignorante!” pensò l’uomo d’affari. Ma fu subito smentito.
– Sei proprio un Romano. Qui vogliamo molto bene ai Romani – affermò deformando il volto in una smorfia incomprensibile. – Vieni con me, conosco un luogo dove potrai trovare tutte le banche che vuoi.
– Magnifico! Forse non saranno la mia, ma almeno loro sapranno indicarmi la strada giusta.
L’uomo gli rispose con un sorriso sgradevole e fece segno di seguirlo.
– Il mondo è pieno di amici! – esclamò soddisfatto l’uomo d’affari.
Camminò per vicoli e viuzze sempre più stretti e tortuosi seguendo l’uomo che a un certo punto fischiò.
A quel richiamo, sbucarono da tutte le parti altri personaggi loschi che iniziarono a suonargliele di santa ragione.
– Stavo solo cercando… – provò a dire senza successo.
Cercò dapprima di ripararsi con la borsa, poi scappò a gambe levate. Tuttavia una decina di persone inferocite gli fu subito dietro.
Era allo stremo delle forze quando, svoltato un vicoletto, una mano lo afferrò e lo trasse all’interno di una casa.
– Il mondo è pieno di imbecilli, e io sono uno di questi! – sbottò cercando di riprendere fiato.
– Non ti arrabbiare troppo: quelli ce l’hanno a morte con i soldati romani.
– Ma io non sono un soldato, e non sono neppure romano!
– Non importa: adesso ti ho ritrovato e posso sdebitarmi.
– Ah, – esclamò riconoscendolo – tu sei il ferito a cui ho dato la mia giacca. – Grazie per l’aiuto, senza di te mi avrebbero sicuramente ripreso.
Mangiarono e bevvero insieme, poi l’uomo d’affari si alzò per andarsene.
– Devo trovare la mia banca.
– Non ci sono banche qui: ho chiesto anche ai miei conoscenti e nessuno sa che cosa siano.
– Non importa, troverò la strada da solo.
– Come vuoi.
Prima di lasciarlo andare, gli porse una giacca e una cravatta – Riprendili pure, non ne ho più bisogno, e poi stanno sicuramente meglio indosso a te.

Ormai il sole era tramontato e qualche punto luminoso nella pianura e sulle colline segnalava che vi erano persone che si stavano preparando a passare la notte all’aperto.
– Devono essere pastori – considerò a voce alta per sentirsi meno solo. – Ormai si è fatta sera e in paese non torno di certo: andrò da loro, forse vorranno ospitarmi.
Scelse il fuoco più luminoso e accelerò l’andatura. Impiegò molto tempo per raggiungere la meta, ma ancora prima che potesse rivelare la sua presenza, il fuoco sembrò aumentare d’intensità e una luce sfolgorante lo accecò.
– Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore. E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia.
A quella voce, comparve una moltitudine di esseri celestiali che lodava Dio e diceva: – Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini che egli ama!
Rimase stordito a lungo. Riuscì a muoversi solo quando i pastori si furono alzati ed ebbero spento il fuoco. Li vide poi avviarsi nella direzione indicata loro dall’apparizione.
– Se sta per nascere un Salvatore, forse è proprio da lui che devo recarmi. Chissà, forse saprà dirmi dov’è la mia banca.
Raccolse la sua borsa e il suo ombrello e si rimise in cammino. Ben presto non fu più solo: numerose persone provenienti da ogni direzione avevano creato un corteo nel buio della notte, rischiarato da una stella incredibilmente luminosa.
– Il mondo è pieno di gente che vuole essere salvata – commentò.
– Ciao! – gli disse all’improvviso un bambino che non aveva visto avvicinarsi.
– Salute a te – gli rispose allegramente.
– Grrr… grrr… grrr…
– Basta, Pepe! Basta! Non essere maleducato.
– Lascialo fare – lo fermò bonariamente l’uomo d’affari. – Ormai le mie scarpe sono ridotte proprio male.
– Anche tu stai andando alla stalla?
– Sì, ho smarrito la strada per la mia banca… forse lì troverò finalmente qualcuno che saprà dirmi cosa devo fare.
– Anch’io vado alla stalla, vuoi fare la strada con me? – gli propose il bambino.
– Certo! – acconsentì e non si sentì più solo.
Il percorso fu breve e senza preoccupazioni. Si fermarono quando giunsero nei pressi di una misera capanna, dove si erano raccolte molte altre persone.
– Dov’è il Salvatore? – chiese subito l’uomo d’affari alla prima persona che incontrarono. – Ho bisogno di lui.
L’uomo gli indicò l’interno della stalla. Tra un asino e un bue, in una mangiatoia, giaceva un bambino fragile e indifeso. Un uomo e una donna, forse il padre e la madre, lo fissavano estasiati.
Entrò senza far rumore e si chinò presso la mangiatoia. In qualsiasi altra occasione avrebbe considerato veramente sciocco rivolgersi a un neonato, ma era così stanco e senza altra speranza che parlò ugualmente.
– Sto cercando la mia… – iniziò, ma la voce gli si spense in gola prima che avesse finito la frase.
La giovane madre lo guardò e gli rivolse un sorriso lieve, come d’invito a continuare.
Con un moto di sollievo, si allentò la cravatta e continuò il suo discorso.
– Sto cercando da tempo la strada giusta, la mia strada… ma adesso sono confuso e non so più quale sia.
Proprio in quell’istante si udì un coro di voci celestiali alle quali il neonato rispose con un gridolino e agitando braccia e gambe.
L’uomo d’affari si alzò e uscì dalla stalla. Raggiunti i suoi nuovi amici, si appoggiò stancamente a un albero.
– Hai trovato quello che cercavi? – gli chiese il bambino, mentre il cagnolino aveva ripreso a rosicchiargli le scarpe.
Allargò le braccia e rispose: – Il mondo è pieno di cose… – ma si interruppe.
Sospirò profondamente e con un gesto cancellò la stupida frase che stava per dire. Quindi indicò la mangiatoia e continuò con più convinzione: – Non so cosa sia successo, ma adesso ho il cuore più leggero e tutte le preoccupazioni sono scomparse.
– Hai trovato la strada per la tua banca?
– Sono sicuro che quel bambino è nato anche per me. Lui è la mia strada.

– Papà! Papà! Vieni a vedere!
– Cosa c’è, Matteo?
– Guarda lì! Vicino alla mia statuina e a quella di Pepe! – gli rispose puntando un dito verso il presepio.
– Roba da non crederci: il mio uomo d’affari! Chi l’avrebbe mai detto! Ma com’è ridotto… Mi piacerebbe proprio sapere come ha fatto a finire nel presepio. Pepe, ne sai nulla tu?
Il cagnolino scodinzolò titubante, ma fu subito rassicurato da una carezza del padrone che poi si girò verso il presepio per togliere quella statuina così fuori posto.
Matteo però lo trattenne.
– Lascialo, papà! Non vedi com’è soddisfatto? Secondo me si trova benissimo in questo presepio.
– Ma non avevi detto che era una schifezza? Comunque, se proprio insisti…
Dopo aver guardato con attenzione la sua statuina, aggiunse: – In effetti, così conciato non sembra nemmeno un uomo d’affari con giacca e cravatta in cerca della sua banca.

 

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