E’ Natale, racconto di Dino Ticli, seconda parte

di Redazione 0

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Abbiamo già iniziato a raccontarvi E’ Natale, la storia a tema di Dino Ticli. Essendo molto lunga l’abbiamo divisa e questa è la seconda parte:

Sapeva già cosa avrebbe trovato nella chiesetta che lo aspettava in fondo a quella galleria del vento: uno dei mille insignificanti presepi tutti luci e stelline, magari uno di quelli con il giorno e la notte che si alternano cercando di ricreare la vita dove questa non c’è più, da duemila anni. O addirittura un presepio moderno dove al posto delle pecore ci sono le automobili, al posto delle case di argilla e mattoni, di legno e paglia, vi sono edifici in cemento e strade asfaltate.
– Niente stelle, però – ironizzò alzando gli occhi al cielo nuvoloso. – Lo smog e le luci di una città le rendono invisibili o così poco attraenti che è meglio guardare altrove.
Ma le sue considerazioni si interruppero bruscamente perché inciampò in un ciottolo sporgente che gli fece perdere l’equilibrio. Prima di alzarsi, si permise di imprecare a voce alta, tanto in quel deserto nessuno lo avrebbe udito. Si spolverò il cappotto e cercò invano il cappello che sembrava essersi dissolto.
– Al diavolo il cappello – concluse irritato rimettendosi in cammino.
Il vento ne approfittò per arruffargli i capelli ed infilarsi gelido tra il collo ed il bavero.
Fece gli ultimi metri corsa e spinse con forza una pesante porta di legno. Tirò un sospiro di sollievo, ma fu subito colpito dal forte odore di incenso, di cera e di umidità.
Sul fondo, appena illuminato, si intravedeva un altare sormontato da una pala di legno dipinta. Un Cristo benedicente, sebbene ormai inscurito dal fumo di mille candele, lo accolse con un sorriso immobile che elargiva da chissà quanto tempo.
Erano molti anni che non metteva piede in una chiesa e un inaspettato senso di disagio contribuì a renderlo ancora più inquieto. Si mosse allora lentamente sul pavimento di pietre irregolari per raggiungere una delle prime panche. Prima di sedersi, notò come lo scrupoloso lavoro di generazioni di infaticabili tarli e l’intenso uso, sebbene più deboli, avessero reso austeri quei poveri sedili. Per questo non lo ritenne un difetto anzi gli parve che tutto facesse parte di una scenografia che nemmeno il più abile degli architetti sarebbe stato in grado di creare.
Una luce, solo un po’ meno fioca di quella delle candele che ardevano ovunque, si accese presso un altare laterale. Ebbe un moto di fastidio, come se un rumore inopportuno e stonato avesse rotto l’incantesimo di un concerto.
– È il presepio – pensò. – Sarà meglio che mi sbrighi: non voglio rimanere oltre in questo posto. E devo anche cercare il parroco per l’intervista.
Ma non lo fece. Si diresse invece verso quella luce, come se si fosse accesa per lui. Sapeva che sarebbe rimasto deluso nel vedere l’ennesima ricostruzione, piena di buona e sciocca fede, di un fatto storico in cui troppe persone riponevano le loro speranze.

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