E’ Natale: racconto di Dino Ticli, quarta parte

Siamo giunti alla quarta ed ultima parte del nostro racconto di Dino Ticli, dal titolo E’ Natale. Ecco la prima, la seconda e la terza:

 

Si massaggiò con vigore e fece per spegnere la candela ridotta ormai a un mozzicone, ma la fiammella, in una delle sue ultime danze, illuminò per un istante un angolo che altrimenti difficilmente avrebbe potuto vedere. E in quell’angolo un’immagine comparve per sparire nuovamente nel buio del presepio.
– Chi sei? – chiese ad un bambino.
Era piccolo, molto più piccolo rispetto alle altre statuine, quasi sproporzionato, come se l’autore avesse voluto accentuare il senso di fragilità e di tenerezza che suscitava. Se ne stava rannicchiato dietro a un masso risultando quasi invisibile. Alte erbe lo nascondevano ancor di più. Lo sguardo era perso nel vuoto ed un lungo bastone da pastore giaceva ai suoi piedi. Anche i suoi abiti rendevano chiaro il suo mestiere. Ma non vi erano né pecore né capre vicino a lui. Roberto diresse la luce tutt’intorno, ma il gregge più vicino si trovava in un’altra zona del grande presepio ed era accudito da tre pastori che sembrava sapessero il fatto loro.
– Dove sono le tue bestie?
– Le ho perse.
– Come hai fatto a perderle? – chiese ancora Roberto preoccupato, ben sapendo quanto fosse grave per un pastore perdere i suoi animali.
– Un canto – rispose il pastorello. – Ho sentito un canto dolce e inaspettato. Anzi era un coro di voci così belle che mi sono fermato ad ascoltare. Sarei rimasto lì tutta la notte se non mi fossi accorto che le mie pecore erano scappate. Le ho cercate dappertutto, te lo giuro, ma inutilmente. Ed allora mi sono nascosto dietro questa pietra.
– Perché non chiami qualcuno dei tuoi ad aiutarti?
– Piuttosto che tornare a casa rimango qui per sempre.
– Se vuoi, posso darti io una mano.
– Faresti questo per me? Perché?
– Ho tutto il tempo che voglio e nessuno che mi aspetti…
– Non hai figli?
– No.
– Nemmeno una moglie?
“Ne ho tante”, avrebbe voluto replicare, ma tante significava nessuna e così gli rispose: – Non ne ho.
– Allora sei proprio solo…
Che impertinenza. Non era solo, Roberto Landi: aveva tanti amici e conosceva un sacco di persone. Il suo cellulare squillava in continuazione. Quando lo desiderava, trovava sempre qualcuno che gli tenesse compagnia, e se proprio gli andava male, c’era pur sempre un buon libro o un film.
– In questo momento ho te – gli rispose con un filo di voce. Poi mosse la candela verso la parte destra del presepio. Si era accorto infatti che, nonostante la loro immobilità, tutte le statuine erano rivolte verso quella direzione, attratte da un richiamo al quale non si poteva non rispondere.
– Lì c’è sicuramente la capanna.
In effetti, i personaggi divennero sempre più numerosi: trovò un falegname, un arrotino, un venditore di olive, una lavandaia con un cesto sulla testa, un uomo in groppa a un asino, una signora anziana tutta curva… – Eccola! – esclamò quando la candela gli mostrò una stalla con un bue e un asino all’interno.
In un angolo, vicino ad una mangiatoia vuota, le statuine di Maria e Giuseppe erano già in adorazione, come ormai facevano da chissà quanti anni.
– Cosa cerchi?
Aveva illuminato un personaggio vestito di azzurro che dall’alto della capanna osservava la gente arrivare. Le ali spiegate e i lunghi capelli biondi dichiaravano la sua natura.
– Un gregge disperso.
– Sei un pastore?
– No, ma ne conosco uno.
– Guarda di fianco alla stalla.
Quattro pecore gonfie di lana se ne stavano beatamente sdraiate ai bordi della capanna. Le illuminò, ma il loro sguardo sembrava dire: “Guai se osi toccarci! Qui siamo a casa nostra”.
Tornò dal bambino, Roberto Landi, e senza pensarci troppo lo sollevò dal suo nascondiglio e lo portò con delicatezza fino alla capanna. Lo sistemò tra le sue pecore e gli parve, con soddisfazione, che l’espressione triste fosse scomparsa dal suo volto. Il pastorello aveva ritrovato il suo gregge e Roberto Landi aveva riscoperto qualcosa che pensava di aver perso per sempre.
– Ha ragione lei, signore. Il posto di quella statuina è proprio quello, lì tra le sue pecore. Qualcuno sbadatamente deve averlo dimenticato altrove.
Quella voce inattesa lo fece girare di scatto, sorpreso.
– Devo averla spaventata. Mi scusi, ma pensavo che mi avesse sentito arrivare. Comunque, io sono il parroco.
Il giornalista si guardò ancora attorno, smarrito; la chiesa infatti non era più vuota, ma numerose persone erano già sedute sulle panche.
– Sono qui in attesa della messa di mezzanotte – gli spiegò il sacerdote avendo colto lo stupore nel suo sguardo.
Intanto le luci del presepio si erano accese e avevano restituito alle statuine la staticità e l’impassibilità per loro naturali.
– Lei è venuto per quell’articolo sul nostro vecchio presepio, vero? – chiese ancora imbarazzato il parroco non avendo ottenuto alcuna risposta.
Roberto Landi si sentì pervadere da un senso di sollievo. Spense la candela, si passò, con un gesto a lui abituale, una mano nei folti capelli e finalmente rispose sorridendo: – Non più, credo che stasera sia Natale anche per me.

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