La vecchina del presepio di Gianni Rodari: prima parte

Non c’è età per entrare nello spirito del Natale. Doveva esserne convinto Gianni Rodari che, infatti ha scritto questa bella favola legata al periodo che fa sognare tutti e che noi, per comodità, dividiamo in due parti. Ecco la vecchina del presepio:

La vecchina abitava da anni (duecento? trecento?) sulla montagna più alta del presepio. Il presepio era quello che sta a Roma, presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, tra le rovine dei Fori Imperiali ed è uno dei più belli del mondo, con montagne, burroni, castelli, villaggi, palazzi, ponti, ovili, osterie, negozi, e migliaia di finestre aperte e dentro si vede la gente vivere. Ma la gente vive per lo più nelle strade, come a Napoli: centinaia e centinaia di figurine che vivono, comprano e vendono pesci, prosciutti, fichi secchi, castagne, caciotte. E scale, scalette, scalinatelle: tutto un labirinto festoso su cui scendono gli angeli a grappoli dal soffitto, e un lungo corteo di mori, cammelli, cavalli accompagna i Re Magi, e bambini accorrono incuriositi, ragazze ballano la tarantella per far onore agli ospiti, si mesce il vino, si drizzano tende ricche come regge.

Sulla collina più alta, nella casa più povera del villaggio, abitava la vecchina, e anche lei, la notte di Natale, si annodò in testa il fazzoletto più bello, preparò un fagottello di pomodori seccati al sole da portare in dono, e si incamminò a piccoli vecchi passi giù per un sentiero ripido, rotto ogni tanto da un mazzetto di gradini.

Piano, piano, andava più piano di tutti. Ben presto la superò un gruppo di giovani e in mezzo a loro ce n’era uno che suonava la fisarmonica.

-Coraggio, nonnetta- la salutarono.

-Non è il coraggio che manca,- rispose, fermandosi a guardarli. –Andate, andate, belli di mamma vostra.-

Ma quelli erano già arrivati in fondo alla valle, come un’allegra valanga. Un vecchio che fumava la pipa sotto il portico di casa la chiamò:

-Ce la farete ancora? E’ lunga la strada.-

-Ce la farò, ce la farò. Sarò l’ultima, ma alla mia età non è vergogna.-

La vecchina sospirò ma seguitò a camminare. Non aveva tempo da perdere. E giù, e giù per sentieri e scale, e su, e su per scale e sentieri. Doveva passare ancora due montagne prima di giungere alla pianura. Poi bisognava attraversare la pianura e ricominciare a salire per un bel tratto, dentro e fuori dai paesi aggrappati alla strada.

Ora c’era sempre più gente, per i sentieri, e dalle case ne usciva dell’altra. Donne dai balconi gridavano: -Aspettatemi!-

Dalle finestre aperte la vita delle case si rovesciava fuori con luci, suoni e colori. La vecchina vide una ragazza che toglieva dal baule uno scialle prezioso.

-Ecco,- mormorò con un pochino d’invidia, -lo scialle della dote. Io non porto che questi pomodori seccati. Com’è triste esser poveri, qualche volta, quando non si possono fare bei regali.-

Passò accanto a una casupola delle più meschine. Fuori dell’uscio una donna lavava dei panni in un mastello.

-Che fate?- borbottò la vecchina. –Il bucato la notte di Natale?-

La donna alzò gli occhi dal suo lavoro. Erano rossi e gonfi.

-Mio marito è malato, bisogna che guadagni io qualcosa.-

-Non sentite che i vostri bambini piangono?-

-Li sento sì. Vogliono andare con gli altri alla grotta. Ma io non ho tempo di vestirli, ecco perché piangono.-

-Siete proprio come un pulcino nella stoppa, non sapete cavarvela,- borbottò la vecchina.

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