Abbiamo iniziato a leggere insieme la favola natalizia di Andersen, dedicata al Pupazzo di neve. Scopriamo ancora come si evolve la vicenda:
Il pupazzo di neve
Il pupazzo si sentì strano: era una sensazione che non riusciva a spiegarsi: in cuore aveva come una nostalgia che non aveva mai provato, ma che tutti gli uomini conoscono bene, quando non sono fatti di neve. “Ma perché l’hai lasciata?”, chiese l’uomo di neve, che aveva deciso che doveva trattarsi di una creatura femminile. “Come hai potuto abbandonare quel posto?” “Sono stato costretto!”, disse il cane alla catena. “Mi hanno buttato fuori e mi hanno attaccato qui dopo che mi capitò di mordere il più giovane dei padroni, perché aveva dato un calcio al mio osso: osso per osso… ma loro se la sono avuta a male, e da allora sono qui alla catena, e ho finito per perdere la voce: senti come sono rauco? Bah! E così è finita la mia bella vita d’un tempo”. Ma il pupazzo non lo ascoltava più: da un pezzo guardava fisso nella stanza della serva, dove, piantata sulle sue quattro zampe, sorgeva la stufa:
… sorgeva la stufa: più o meno, sembravano avere la stessa altezza. “Che strana sensazione quella che provo! Mi riuscirà mai di incontrarla? È un desiderio innocente, il mio, e i desideri si avverano sempre, quando sono innocenti. È il mio solo desiderio: sarebbe ben ingiusto se non potesse avverarsi! Devo entrare a ogni costo, anche se dovessi spezzare i vetri!” “Bah! Tanto non ci arriverai mai!”, disse il cane alla catena; “e poi, se ti ci avvicini sei finito, non lo sai? Bah!” “Già ora non mi sento affatto bene”, rispose il pupazzo; “sento una gran voglia di vomitare”. Per tutto il giorno il pupazzo rimase a guardare la finestra: alla luce del tramonto la stanza sembrò diventare ancora più accogliente: la stufa emanava un bagliore dolcissimo, più dolce di quello della luna, e anche di quello del sole: dolce come può esserlo soltanto il bagliore di una stufa, quando è piena.