Il ciclo annuale, se ci pensiamo bene, passa proprio dal Natale. E’ un periodo preparatorio che indica la strada per un rinnovamento spirituale e per una rinascita. Si comincia con la “novena di Natale” che in Sicilia viene allietata dai ciaramiddari (suonatori di cennamella) e che un pò ovunque coinvolge i fedeli. In realtà, anche se ormai se ne è persa la tradizione, anche la cena della Vigilia dovrebbe rappresentare un momento di purificazione. Dovrebbe essere tutto “magro” e indicare un momento di fratellanza e amicizia. Tale usanza si ritrova soprattutto a Roma dove si vende al portico di Ottavia il Capitone.
Nella più antica tradizione popolare, il centro della festa è rappresentato dal ceppo che rimane sul focolare fino a Capodanno. Questo indicherebbe l’immagine del sole e la fine del vecchio anno che si va consumando. Una volta a Genova, il ceppo natalizio veniva offerto al Doge dalle genti della montagna in una pittoresca cerimonia pubblica chiamata col bellissimo nome di “confuoco”. Quest’ultimo vi versava vino e confetti. Una usanza fortemente non voluta, invece, da San Bernardino. Entrambe gli usi si sono conservati in Abruzzo fino ai tempi moderni, dove però l’accensione del ceppo rappresenta la distruzione del peccato originale.
Passiamo a Polena, in Abruzzo, dove si mettono ad ardere tredici piccoli legni “in memoria di Cristo e degli apostoli”. In generale, la notte di Natale ha qualcosa di magico ovunque, soprattutto nei piccoli centri e resiste ancora la leggenda, piuttosto remota però, che chi nasce in quella notte diventa lupo mannaro, perché si permette di violare un momento in cui assoluto protagonista è Gesù. Quando la società era quasi tutta contadina, certe tradizioni si sentivano di più e il Natale veniva festeggiato in modo semplice, senza troppo consumismo. Era il momento in cui veniva fuori quello spirito religioso che oggi abbiamo forse del tutto dimenticato.