Piero Bargellini, scrittore e politico italiano ha scritto più di una storia sul Natale che potrete dedicare ai vostri piccoli e lasciarvi ascoltare da loro mentre si divertono ad addobbare l’albero natalizio. Ecco il racconto dell’oste:
“Cercherò di ricordare. Non è facile tenere a mente tutti i clienti. E poi in quei giorni di confusione!
Il mio albergo era situato alle porte di Betlem, sulla strada che viene da Nazaret.
Posso dire, senza esagerare, che esso fosse il primo albergo della città.
Fra formato da un gran cortile quadrato e porticato.
I viaggiatori entravano in quel cortile, si sceglievano il posto sotto il portico. Legavano il loro cavallo o il loro asino a una campanella.
Io intanto davo voce ai servi, i quali portavano un bel fascio di fieno odoroso per le bestie, e un fastello di paglia ben secca per gli uomini. Paglia di prima scelta, dorata, mai usata!
Nel mezzo del cortile c’era il pozzo. I servi vi attingevano l’acqua perché i viaggiatori si potessero lavare i piedi.
Di notte, specie d’inverno, nel cortile non mancava mai un bel fuoco. Si volevano maggiori comodità?
Una parte del colonnato, chiusa da muretti e da tende, formava alcune “camere private”. Ma quelle erano per i clienti di riguardo!
Per mangiare, i viaggiatori consumavano le loro provviste, raccolti in circolo, sotto il loggiato, seduti sulla paglia.
Io fornivo buon vino e ottimo pane. Betlem veniva chiamata “la casa del pane”. Attorno al paese si stendevano a perdita d’occhio campi d’orzo, e nel mio forno si cocevano eccellenti pagnotte: pane d’orzo, d’ottima qualità!
Sì, ora ricordo, ma, vi ripeto, non è facile tenere a mente tutti i clienti. E poi, i clienti di quei giorni! Che trambusto! Che via vai! Augusto, il grande Imperatore romano, aveva emanato un editto per il censimento. Voleva sapere quanti cittadini popolassero il suo grandîssimo Impero. Anche la Palestina si trovava sotto il suo dominio. Noi Ebrei avevamo, è vero, un re nostro. Si chiamava Erode, e risiedeva a Gerusalemme, la capitale del Regno. Ma sopra di lui c’era l’Imperatore romano, che contava più di lui. Bisognava obbedire. Perciò tutti tornavano al paese di origine, per farsi segnare nelle liste della propria tribù.
Ve l’ho detto, furono giorni di grande affluenza, di grande confusione, e, devo ammetterlo, di grande guadagno.
Il cortile era pieno di animali e di gente. I servi non ce la facevano a servire tutti. Si era giunti alle ultime forcate di fieno, e quanto alla paglia, lo dico con vergogna, molte volte fui costretto a ridistribuire quella già usata. Una sconvenienza, lo so, ma come volete che facessi?
Fu una sera, sull’ora di notte. I servi vennero a dirmi che alla porta si erano presentati due nuovi clienti. Detti in giro un’occhiata. Sotto il portico la gente si pesticciava. Chiesi ai servi: – Che gente è? Persone di riguardo?
Scrollarono il capo.
– Poveri, – mi risposero – un operaio e una donna sopra un asino.
– Se vogliono buttarsi in un canto, – dissi indicando i portici affollati.
– Chiedono una camera particolare, – mi fu risposto.
– Allora mandateli con Dio. Bella pretesa; una camera particolare in questi momenti, e per gente povera.
– La donna è stanca dal viaggio, – mi disse un vecchio servo.
– E che cosa ci posso fare? Anch’io sono stanco. Non ne posso più. Se fossero stati clienti buoni…. Ma con certa gente ci si rimette spesso anche la paglia.
I servi erano incerti. Allora mi feci io sulla porta.
– Mi dispiace, – dissi col migliore dei modi. – Mi dispiace, ma non c’è posto. Con questo benedetto censimento! Anche voi siete qui per l’editto?
– Sì, – mi rispose l’uomo, un tipo di operaio.
– Di che famiglia siete?
– Della famiglia di David.
Lo guardai sorpreso. La famiglia dell’antico profeta era famiglia reale.
– E non avete parenti in città?
L’uomo abbassò gli occhi. Guardai la donna raccolta sull’asino. Che viso pallido e bello! Sotto la coperta che le ricadeva sulle spalle, nella semi oscurità, sembrava che facesse luce.
– Sono dolente, – dissi ancora, – ma non c’è posto. Neppure nel cortile; una camera particolare poi è impossibile.
Questa donna è stanca, – disse sommessamente l’uomo.
La riguardai. Ella abbassò le ciglia.
– Sentite, – dissi loro, – se volete restare soli e passare una notte al coperto, vi consiglio una cosa. Sul fianco del colle ci sono alcune grotte che servono da stalla. In mancanza di meglio possono servire come camere particolari. Non ve ne offendete. Così risparmierete anche quei pochi.
I due non fiatarono. L’uomo tirò la cavezza all’asino, che si mosse zoppicando. Il lume di quel volto di donna affaticata sparve nel buio.
Rimasi sulla porta, ascoltando lo zoccolìo dell’asino che si allontanava. Mi invase una grande tristezza. Li avrei voluti richiamare. Ma come era possibile ospitarli? Vi assicuro che non c’era più posto sotto il portico; e di. camere particolari, neppure da parlarne.
Con tutto ciò ero triste. Rientrai. Avevo una pietra sul cuore”.